E’ legittimo farsi questa domanda, alla quale proverò a dare alcune semplici risposte.
- serve a tenere insieme i ragazzi, tenuti in quarantena per tanto tempo, a farli giocare insieme, a sentire di nuovo lo schiamazzo delle loro voci, a gioire dei colori delle loro magliette che formano insieme l’arcobaleno;
- serve a far lavorare insieme le catechiste, che non hanno potuto incontrarsi in questi mesi;
- serve a non dimenticare il pregevole lavoro della programmazione, che rappresenta la caratteristica di un buon educatore;
- serve ai genitori per capire che nel difficile compito educativo non sono soli, ma hanno accanto la parrocchia di cui fidarsi;
- serve al parroco per togliere la “ruggine” che il coronavirus ha lasciato dentro l’animo e che rischia di bloccare i meccanismi di servizio alla comunità. Per diversi mesi i pastori si sono dovuti limitare alla celebrazione in solitaria, all’assistenza di qualche famiglia bisognosa, alla catechesi in streaming: è il momento di passare alla ripresa dei ritmi che la prossimità fisica porta inesorabilmente con sè, a sentirsi parte di un gruppo, quello degli educatori, che condivide la responsabilità della formazione cristiana.
Ritengo sufficienti queste motivazioni per affrontare l’incognita dovuta alle condizioni attuali, che impediscono di vivere con semplicità cose che prima si facevano ad occhi chiusi: scelta del luogo, data, programma, invito per i genitori. cose che oggi sembrano lontane anni luce!
Abbiamo l’occasione per metterci alla prova, per verificare se l’idea abbiamo di noi stessi corrisponde allo stile del discepolo del Vangelo.
E’ tempo di riprendere il cammino.